Il problema della pulitura delle croste nere e dei trattamenti delle facciate




La realizzazione di un trattamento o di una modifica strutturale che ha prodotto una nuova immagine del Bene oggetto d'intervento, malgrado abbia ingenerato una visione falsata si afferma nella coscienza – conoscenza della popolazione dando una nuova immagine radicata della struttura unitaria complessiva del bene.
La storia che ha prodotto queste opere si è ormai storicizzata (brutto gioco di parole) e quindi appare fuorviante e teoreticamente improbabile riproporre gli stessi errori.
L’istanza storica dell’opera d’arte consta di tre tempi: la durata dell’estrinsecazione da parte dell’artista, il tempo tra la produzione e il riconoscimento come opera d’arte e il tempo in cui avviene il “dis-velamento”.
Da questa postilla teorica appare fondamentale l’importanza, per il nostro ragionamento, del terzo tempo.
Ogni epoca vive e riconosce un opera d’arte nel preciso momento in cui ne assume la coscienza, ma ciò varia indubbiamente da epoca ad epoca e da spazio a spazio.
Per questo motivo il valore del tempo che ha riconosciuto un opera d’arte come tale ed i conseguenti interventi che questo ha prodotto sul bene non sono meno importanti fenomeno che ha lasciato quella “patina storica” tanto cara agli storici dell’arte, ma che in questo contesto valutiamo come effetto del tempo storico sul bene.
Se gli interventi condotti da questo “terzo tempo” sono frutto di una presa di conoscenza dell'artisticità del bene si configurano come veri e propri interventi di restauro anche se non più condivisibili o addirittura respinti.
In altre parole un restauro che noi possiamo giudicare sbagliato, ma compiuto con la piena presa di coscienza dell’atto di dis-velamento, diventa parte del “farsi artistico” e diventa esso stesso “momento” del bene artistico, nella sua accezione storica.
Da quanto detto fin ora inoltre appare chiaro che il tempo in cui facciamo l’intervento di restauro è quello attuale in cui il bene si presenta con questa data forma e questo dato messaggio artistico.
Per questo motivo ci appare evidente che nella piena assunzione dell’artisticità di un Monumento, che noi compiamo con questo intervento di restauro, non si possono negare anche quegli interventi che ci appaiono incongrui e dannosi.
Al fine di evitare fraintendimenti però è anche necessario affermare che dove questi interventi evidenziano una mancata presa di conoscenza dell’artisticità del Bene o nel caso in cui nascondano un degrado pericoloso per la conservazione è nostro compito porvi rimedio con tutte quelle precauzioni di visibilità dell’intervento e della sua reversibilità.
Per quanto sopra detto bisogna operare in modo da non modificare la percezione del precedente intervento e bisogna evitare di trattare allo stesso modo le parti pulite per rimuovere le croste nere in modo da non creare un falso e proporre una immagine distorta del monumento.
Allo stato attuale dell'arte del restauro è ormai accettata la piena visibilità dell'intervento, quando questo è necessario per non alterare immagini percettive acquisite, e quindi anche nel nostro caso ci si può limitare alla pulizia delle croste nere che vengono poi lasciate a vista con la pietra originaria, mantenendo anche, ove possibile, la patina di ossalato formatasi naturalmente e non dannosa alla conservazione della pietra.
L'oggetto della pulizia deve quindi mantenere inalterato l'aspetto percettivo pre-intervento e descrivere in modo visivo le due fasi di conservazione: quello originario ed il nostro.
Come richiesto dalla recente teoria del restauro sulla riconoscibilità dell'intervento la nostra pulizia si deve limitare a rimuovere lo sporco pericoloso per la conservazione del manufatto, nel pieno rispetto di quanto fosse già presente.
L'aspetto finale, che può essere criticato per il suo aspetto di “incompiuto”, è a nostro parere un metro importante per permettere la percezione del “lavoro” che il tempo ha fatto sul Monumento.
Anche dal punto visivo l'intervento così concepito è filologicamente accettabile in quanto non altera l'aspetto irregolare dei cromatismi presenti prima dell'intervento, sostituendo alle parti nere delle zone di pietra nuda leggermente più opacizzata.
Alla fine delle lavorazioni di conservazione il Bene Monumentale “denuncia” nel suo aspetto quello scorrere del tempo che merita rispetto in quanto traduce in segni e forme il lavoro di generazioni passate che hanno voluto incidere la loro “cultura materiale”, così che le generazioni future potessero riconoscervi la loro storia e entrare a far parte dell'inconscio collettivo che Jung(1) definiva come strumento per unire tra di loro gli esseri umani e dargli dignità e riconoscibilità contro l'oblio dello scorrere del tempo.

(1) C.G. Jung, GLI ARCHETIPI DELL'INCONSCIO COLLETTIVO, Boringhieri Torino, 1982


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